Il Venture building come strategia di innovazione

L’innovazione aziendale non riguarda semplicemente la creazione di nuovo valore. Si tratta di un investimento necessario per reagire al cambiamento delle tendenze e respingere le minacce dirompenti. Poiché le aziende devono muoversi a velocità più rapide e più agili in risposta alla pandemia globale, i riflettori sono ora puntati su un’altra strategia: la costruzione di iniziative imprenditoriali.

Che cos’è la costruzione di un’impresa aziendale?

Nella creazione di imprese aziendali, le aziende affermate costruiscono da zero un’impresa separata. Viene creato un nuovo marchio, team e flusso di entrate per mirare a spazi di opportunità non sfruttati – nuovi segmenti di clienti, tecnologie o capacità – al di fuori dell’attività esistente. Da Google a Microsoft a GE, il venture building è un approccio sempre più diffuso. Il profitto è uno dei motivi. Le società che partecipano alla diversificazione a lungo termine hanno sovraperformato le società che non hanno ottenuto il 54% dei rendimenti per gli azionisti. Inoltre, le grandi aziende hanno molti asset e risorse esistenti. Questo, unito all’agilità delle startup, sblocca una crescita radicale.

Nonostante questi grandi ritorni, molte aziende non hanno familiarità con la creazione di iniziative imprenditoriali. Perché farlo?

Percorsi per l’innovazione

Molti laboratori di innovazione aziendale sono spuntati nell’ultimo decennio, in particolare nel settore fintech. In questi laboratori, le collaborazioni interfunzionali tra imprenditori possono stimolare nuove idee e concetti all’interno dell’azienda. Queste idee non vengono però sempre implementate poiché le priorità aziendali esistenti richiedono maggiore attenzione. Di conseguenza, le idee spesso ruotano attorno al miglioramento delle offerte esistenti invece di aprire nuovi orizzonti. È necessaria una strategia chiara per aggirare il “teatro dell’innovazione”, dove le iniziative di innovazione aziendale non si traducono in risultati a lungo termine.

Capitale di rischio aziendale

Il capitale di rischio aziendale è un altro approccio, in cui tempo e capitale vengono investiti in startup promettenti che aprono la strada a nuove tecnologie o mercati, portando potenzialmente ad un’acquisizione. Questi accordi però possono essere costosi e affrontare sfide di integrazione, poiché la startup e la società possono avere culture e stili di governance diversi che devono essere colmati con mano delicata.

Corporate Venture Building come innovazione

Il team di venture building è dotato di ampie risorse in modo da poter prendere decisioni con rapidità e agilità di avvio, senza le sfide di una gerarchia aziendale, offrendo ritorni sugli investimenti più rapidi. Proprio come una startup, il team ha il mandato di esplorare idee radicali e modelli di business che risolvano le nuove esigenze dei clienti, aiutando l’azienda a diversificare dai rischi di interruzione. Confezionare queste idee in un nuovo marchio aiuta a conquistare nuovi clienti e sostenitori, indipendentemente dalle percezioni esistenti del core business.

Che si tratti di creare un laboratorio o un’impresa, le aziende devono prima definire la propria strategia e il proprio intento prima di intraprendere il proprio viaggio di innovazione. Secondo la nostra esperienza, le organizzazioni con una maturità innovativa più elevata sono le più adatte per la creazione di iniziative imprenditoriali. Questo perché il successo nella costruzione di imprese aziendali non è misurato da metriche tradizionali, ma dalla volontà di “testare velocemente, fallire velocemente”. Queste organizzazioni hanno anche maggiori probabilità di vedere le iniziative fallite come lezioni preziose che le avvicinano di un altro passo alla vera svolta.

Scegliere la squadra giusta per il venture building

Un ambiente sicuro e aperto per la sperimentazione è assolutamente vitale. Le iniziative dovrebbero anche essere fondate e gestite da team interfunzionali per una diversità di idee e competenze. Bisogna fare attenzione però perché tanti possono anche inibire un processo decisionale efficace. Una metodologia di design thinking funge da stella polare per garantire che le esigenze dei clienti siano le priorità principali e che le idee siano considerate di successo quando vengono prima convalidate dai clienti.

Ancora più importante, la motivazione per la creazione di imprese deve provenire dalla leadership senior, in modo che tutti gli elementi necessari – strategia aziendale e aree di opportunità, accettazione del fallimento e commercializzazione attraverso i canali di business esistenti – siano allineati.

L’Italia riduce gli investimenti in blockchain ma il 2021 è l’anno della svolta

Gli esperti dicono che il 2021 è l’anno per vedere maggiori investimenti di capitale di rischio nella tecnologia blockchain. Questa previsione arriva grazie all’aumento di app di servizi finanziari che utilizzato la tecnologia blockchain e la criptovaluta è diventata sempre più rilevante. A lavorare a favore del settore è anche il fatto che le principali società di servizi finanziari tra cui PayPal , Visa e JPMorgan hanno adottato la criptovaluta come metodo di pagamento nell’ultimo anno, così come altre startup che stanno arrivando sulla scena, armate di capitale, per sviluppare più piattaforme dedicate alla blockchain. Ci sono però alcuni fattori come la volatilità nei prezzi delle criptovalute e la confusione e l’incomprensione da parte di molti consumatori sulla tecnologia e sui servizi finanziari correlati che potrebbero ostacolare l’ascesa.

Blockchain e i progressi degli ultimi anni

Blockchain è un’informazione digitale che viene archiviata in un database pubblico, un registro digitale. Il vantaggio, in particolare nel settore finanziario, è la possibilità di avere un libro mastro condiviso che registra transazioni dettagliate senza alcuna informazione di identificazione, portando a una maggiore sicurezza. Gli investimenti in questo spazio stanno crescendo, in particolare in Europa, che è stata più rapida nell’adozione della blockchain aziendale che include servizi finanziari, assistenza sanitaria, energia, alimentazione e agricoltura. All’interno dell’ecosistema dei servizi finanziari, ma al di fuori della criptovaluta, si vedono sempre più startup interessanti e buoni progressi realizzati nelle aree di:

  • Tokenizzazione, ovvero il processo di emissione di un token su una blockchain che rappresenta una vera risorsa
  • Amministrazione di fondi, un’area sotto pressione per gestire i costi e in cui le startup utilizzano la blockchain per raccogliere la sfida
  • Central Bank Digital Currencies (CBDC), una nuova forma di moneta della banca centrale emessa su una blockchain, essenzialmente valuta digitale supportata dalla banca centrale

Man mano che l’adozione della blockchain acquista slancio, aumentano gli investimenti di capitale di rischio nella tecnologia. Ad esempio, Bloccelerate VC, una società di VC con sede a Seattle, ha chiuso il suo primo fondo di 12 milioni di dollari a dicembre per supportare le startup tecnologiche blockchain nei settori della finanza commerciale, dei servizi finanziari e della catena di approvvigionamento. Gli investitori hanno distribuito 23,2 miliardi di dollari a società globali di blockchain dal 2016 e 3,3 miliardi di dollari a società statunitensi durante lo stesso periodo. Sebbene il flusso di accordi tra il 2019 e il 2020 sia stato relativamente piatto a causa della pandemia globale, è previsto un aumento nel 2021. Questo anche perché molte startup stanno creando strumenti e prodotti nell’ambito della finanza decentralizzata.

La situazione in Italia

Il grande movimento previsto per il 2021 si infrange contro i dati emersi dalla ricerca dell’ Osservatorio Blockchain & distributed ledger della School of Management del Politecnico di Milano. Nel 2020 gli investimenti delle aziende italiane in tecnologia blockchain sono scesi a 23 milioni di euro, una flessione del 23% rispetto all’anno precedente e a causa dell’ emergenza sanitaria che ha limitato il lancio di nuove iniziative e ha spinto a potenziare quelle già attive. In Italia la finanza è il settore più rappresentato con il 58% della spesa, ed è l’ unico ad aver aumentato gli investimenti (+6%). Bene anche l’ agroalimentare, le utility e la pubblica amministrazione. I paesi più attivi nella blockchain sono gli Stati Uniti, con 72 progetti avviati negli ultimi cinque anni, e la Cina a quota 35. Con 18 casi l’ Italia resta nella top ten.

Il mercato del digitale supera la barriera dei 70 miliardi di euro

Ha superato i 70 miliardi di euro nel 2018 e nel 2019 le prime stime segnalano una crescita analoga. Il mercato digitale in Italia cresce più di quello macroeconomico, un dato che fa riflettere e capire l’orientamento dei prossimi anni. «I numeri dimostrano che la digitalizzazione sta avanzando e che il settore Ict gioca un ruolo importantissimo nel mitigare momenti congiunturali difficilissimi», dice il presidente di Anitec Assinform, Marco Gay, commentando la rilevazione annuale dell’Associazione di Confindustria che raggruppa le principali aziende dell’Ict, condotta in collaborazione con NetConsulting cube.

Il mercato spinge per la trasformazione digitale e l’innovazione ed è per questo che non bisogna perdere tempo. Gay sottolinea il ruolo dello Stato in questo momento cruciale: «le misure a favore degli investimenti nel digitale delle imprese vanno rafforzate. Speriamo che l’azione del Governo vada in questa direzione perché dalle nostre analisi sul campo stiamo vedendo che c’è un’ottima capacità di offerta da parte delle imprese produttrici e una buona domanda di hi-tech da parte delle imprese».

La crescita in tutti i settori dell’Ict

Il mercato dell’Ict è quindi parte integrante dello sviluppo dell’Italia con oltre 70 miliardi di euro che per metà vede nelle vesti di fornitrici imprese italiane. O comunque «imprese che hanno una presenza importante in Italia». Sono cresciuti Software e soluzioni Ict (+7,7% a 7,1 miliardi); Servizi Ict (+5,1% a 11,6 miliardi); Contenuti e pubblicità digitali (+7,7% a 11,2 miliardi); Dispositivi e sistemi (+2,6% a 18,8 miliardi). Grande crescita anche per le componenti più innovative come Cybersecurity (1 miliardo; +12,2%), Cloud (2,3 miliardi; +23,6%) e IoT (2,97 miliardi; +19,2%). I settori d’utenza che più hanno spinto il mercato sono Banche (+4,6% a 7,6 miliardi) e Industria (+5,2% a 8 miliardi) anche grazie soprattutto alla volontà del sistema di evolvere grazie al digitale. Su questa evoluzione, dice senza tentennamenti il presidente di Anitec Assinform Marco Gay, l’Industria
4.0 «ha avuto un grande impatto» .

Ora però non bisogna fermarsi e così la rilevazione annuale dell’Associazione di Confindustria ritorna ad affrontare le politiche d’incentivazione. La spinta deve arrivare dallo Stato. Per Gay servono necessariamente «incentivi, per aiutare a vincere un gap fin troppo visibile: abbiamo un sistema-Paese a due velocità con imprese impegnate a innovare e ancora troppe entità, soprattutto piccole, ai margini dei processi di ammodernamento. È importante ripartire da lì».

Nelle imprese sempre più spazio ai data scientist

Entro cinque anni i lavoratori vedranno modificare il 50-60% delle attività che svolgono oggi. È questo il primo dato emerso dal forum organizzato da II Sole 24 Ore in collaborazione con Ey. Un altro aspetto analizzato è che i dati avranno sempre più un ruolo di primo piano. I big data saranno sempre più rilevanti, analizzare dati per fornire al management le informazioni utili ed assumere così decisioni ma anche disegnare strategie adeguate. Una contaminazione che coinvolge tutte le professioni e le funzioni in azienda.

La grande rivoluzione dei big data

I motivi nascono da un lato per l’esponenziale crescita della capacità di elaborazione di grandi moli di dati legata al cloud computing, dall’altro la digitalizzazione del sapere che ha trasformato le informazioni in formato “computer readable”, leggibile da un calcolatore elettronico. Al centro c’è il data scientist. Secondo il rapporto BigData@MIUR datato 2016, entro il 2020, ci sarà una crescita dell’offerta di lavoro nei Big Data del 23% all’anno, contro il 19% di tutto il settore dellTnformation Technology (IT) e il 6% globale. Diciamo di più. Deloitte invece afferma che c’è una carenza di un milione di analisti di dati a livello globale.  In Italia l’offerta di lavoro cresce del 23% all’anno, contro il 19% dell’intero settore Information Technology.

Lo sviluppo di corsi universitari a tema

E così anche dal punto di vista universitario sono nate le prime strade da intraprendere. Due anni fa i primi corsi di laurea magistrale, oggi sono sette con due a Milano (Bicocca e Statale) poi Cagliari, l’Aquila, Roma, Trento e Padova. A cui si aggiungono Napoli (Federico II) e il corso di Data Science and Business Informatics all’Università di Pisa. Agli atenei privati ci sono le lauree magistrali alla Bocconi e naturalmente ai Politecnici di Milano e Torino. La laurea magistrale in Data science punta a formare specialisti in grado di utilizzare tecniche matematico-statistico-informatiche all’interno di aziende e amministrazioni pubbliche e private, inclusi enti o istituti di ricerca scientifica e tecnologica, in particolare per quel che riguarda la gestione, il trattamento, l’analisi e l’utilizzo di grandi moli di dati, anche affiancando efficacemente esperti di specifici settori applicativi.

Italia, oltre 30 miliardi di spese delle imprese per l’ICT

Una crescita inesorabile e indispensabile quella che riguarda le imprese italiane. Parliamo della spesa Ict (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) che nel 2018 ha toccato quota 30 miliardi di euro. Nel 2019 questo dato dovrebbe essere ulteriormente ritoccato a 30,5 miliardi di euro mentre nel 2021 dovrebbe raggiungere l’importo di 31,5
miliardi di euro. Tali trend sono delineati dal report «Il mercato Ict e l’evoluzione digitale in Italia», che approfondisce gli orientamenti della domanda, i valori di spesa, gli scenari globali.

Cybersecurity individuato come investimento strategico

Il rapporto è stato elaborato dall’Associazione nazionale delle imprese Ict e Digitali in collaborazione con Cfmt – Centro di formazione management del terziario e con la società IDC Italia. È stato rilevato che un’azienda su tre ha come principale ostacolo alla trasformazione digitale la mancanza di competenze o di cultura aziendale adeguata. In particolare l’aspetto più rilevante è la cybersecurity che viene considerato come investimento strategiro per il 19% delle imprese. C’è però una percezione diversa in base alle dimensioni delle aziende. Il 45% delle medie e delle grandi imprese
dedica risorse specifiche alla sicurezza digitale. Il 35% delle aziende italiane considera la sicurezza come una voce di costo supplementare. Invece il 32% come un costo del tutto contingente e saltuario, soprattutto tra le micro e le piccole imprese.

La sicurezza informatica e la carenza di risorse

Un altro ostacolo rilevante è la carenza di risorse finanziarie che frena la crescita della spesa in sicurezza informatica. In realtà problemi sono causati anche dalla mancanza di risorse umane specializzate e di competenze all’interno dell’organigramma aziendale. Non esistono figure in grado di affrontare le sempre maggiori complessità legate agli attacchi informatici. Il rapporto analizza lo sviluppo digitale nelle diverse aree geografiche lungo
lo Stivale. Tra le regioni, sul podio si piazza il Lazio con una spesa Ict di quasi 6,5 miliardi di euro, pari al 20% del totale nazionale. A seguire, Lombardia con 6 miliardi, Piemonte con 4 miliardi, Emilia-Romagna con 3 miliardi, Veneto con 2,5 miliardi.

La leadership, considerando una classifica sulle macroregioni, è il Nordovest con il 35%. Al secondo posto si colloca il Centro con il 27%. Sul podio chiude il Nordest con il 21% mentre al quarto e ultimo posto ci sono Sud e le Isole con il 17%. Per quanto riguarda la crescita lungo il percorso di
trasformazione digitale, la vetta della graduatoria è occupata dalle aziende del Nordest, con il 38% che ha raggiunto almeno il 50% dei propri obiettivi, seguite dalle imprese del Nordovest (32%), del Centro (30%), del Sud e delle Isole.